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Non sono gli Esercizi che fanno migliorare un giocatore, sono i Giocatori che fanno migliorare un Esercizio. RL

domenica 7 agosto 2011

Il calcio inizia dai piccoli

“Questa denominazione racchiude in sé una filosofia che vuole porre particolare attenzione ad un tipo di attività sempre più a misura di bambino, piena di grandi esperienze sotto il profilo motorio, emozionale e sociale per un fanciullo che si avvicina al calcio e che, attraverso il calcio, vuole conoscere, imparare, giocare”.
Ci è sembrato interessante esordire attraverso un incipit preso dalla Guida Tecnica per le Scuole di Calcio, realizzato dal Settore Giovanile e Scolastico, strumento didattico straordinario a disposizione di tutti coloro che si interessano di calcio giovanile. Di fronte a una dimensione che crea passione, interesse, partecipazione verso uno straordinario strumento educativo quale è il pallone, osserviamo spesso strutture didattiche dedicate a bambini di cinque-sei anni caratterizzate da una logica pedagogica tipica dello sport di alta specializzazione. Imparare a giocare al calcio è uno strumento formativo potentissimo che favorisce e accompagna naturalmente quel processo di accesso al mondo che è rappresentato dal superamento dell’egocentrismo.

Il bambino che si appresta a entrare nel mondo organizzato (scuola dell’obbligo, scuola di calcio, gruppo scout ecc.) inizialmente prova un certo disagio, che viene fortemente accentuato da insegnanti che pongono l’attenzione sul rendimento, sulla riuscita, sul risultato, svilendo la natura ludica prorompente del “giuoco calcio”. A volte si pongono problematiche sull’opportunità di suggerire alle famiglie di far cambiare sport al proprio figlio, sulla scorta di scarse attitudini al calcio: riteniamo questo folle e aberrante, il calcio è uno sport meraviglioso che accoglie tutti coloro che hanno entusiasmo e il percorso di crescita sportiva deve fare leva sulle motivazioni dei bambini che scelgono di giocare a pallone per pura passione. La libera esplorazione del mondo circostante, attraverso un dinamismo che la palla rende sempre più affascinante, favorisce processi di natura coordinativa che sollecitano le strutture nervose a produrre adattamenti e presupposti che in futuro potranno favorire l’acquisizione di tecniche specifiche.

Il rapporto costante col pallone favorisce adattamenti spaziotemporali che all’inizio potranno sembrare grossolani. Immaginiamo un bambino di sei anni che conduce il pallone in uno spazio definito: più che guidare la palla, la insegue. Allo stesso modo, quando lo osserviamo evitare ostacoli posti sul campo, pensate a uno slalom, questo richiede un’attenzione psicomotoria che insieme a un costante miglioramento senso-percettivo determinerà nel tempo una sempre migliore qualità del gesto. In altre parole, non dobbiamo mostrare troppa attenzione alla qualità esecutiva, ma valutare l’impegno, lo sforzo del bambino proteso a plasmare il proprio movimento su di un pallone ancora non sufficientemente addomesticato. Osservandolo mentre gioca, notiamo come il suo modo di muoversi è antieconomico, è poco coordinato, la capacità di combinare movimenti risulta frammentaria, l’equilibrio è instabile. Il pallone, pur rappresentando spesso un ostacolo, rappresenta tuttavia per il bambino un costante punto di riferimento, un oggetto da gestire, da possedere, che in modo bizzarro rimbalza e rotola sul campo, spingendolo a mettere in atto tutte le procedure utili per domarlo.



Sin dall’inizio il contatto col pallone migliora il comportamento tecnico dei giovani calciatori.


Un piccolo portiere: il suo ruolo è determinante nel coordinare la squadra.
La spinta egocentrica che si manifesta in tutte le attività che il bambino svolge si palesa in una evidente incapacità collaborativa: i piccoli vogliono appropriarsi della palla e con grande difficoltà se ne liberano. Sicuramente, fra le pratiche da proporre, organizzare attività di gioco 3vs3 o 4vs4 in spazi ridotti rappresenta la scelta più adeguata: alternare fasi di gioco libero ad altre in cui l’istruttore differenzia le posizioni per “imporre” delle regole comportamentali può avere una sua utilità. Il comportamento tecnico si migliora attraverso il contatto continuo col pallone e un approccio imitativo favorisce l’acquisizione di un’immagine più stabile del movimento da eseguire. I circuiti motori sono dei modelli didattici largamente utilizzati e, se ben definiti, rappresentano una efficace proposta come nella (fig. 1), dove ritmo, equilibrio, combinazione dei movimenti, differenziazione e orientamento spaziotemporale sono gli elementi coordinativi maggiormente sollecitati.

Alternare l’esecuzione tecnica in un ambiente stabile, non disturbato per esempio da avversari (fig. 2), a giochi tecnici dove viene richiesto un adattamento del gesto in funzione di sollecitazioni spaziotemporali imposte da un avversario più o meno attivo (figg. 3-4), sono le altre opportunità da utilizzare per una corretta formazione. L’esempio proposto fa riferimento alla guida della palla. Parlare di ruoli è inopportuno, le fasi di gioco che i bambini di questa età riconoscono, come accennato, sono rappresentate dal possesso palla individuale proteso più verso la proprietà che inteso come condizione per poter fare goal e dalla fase in cui la palla non è posseduta e individualmente si mira a riaverla.
Le posizioni e gli spazi occupati all’interno del gioco debbono essere vissuti da tutti e quindi la rotazione è un principio da mettere in pratica, così come verso i sette-otto anni si può introdurre la funzione arbitrale, per cui tutti i bambini si trovano a dover fungere da giudici.

Come abbiamo già detto, e non ci stancheremo di ripetere, la pazienza e la lungimiranza, l’idea di arricchire, di creare opportunità, di favorire esperienze motorie sono obiettivi assoluti per chi opera sportivamente con bambini. L’istruttore deve proporre e stimolare comportamenti, non deve essere prescrittivo e direttivo, deve essere accettato per la sua spontaneità e il suo atteggiamento sereno e garbato. Se il percorso costruito si basa sui presupposti pedagogici suggeriti, avremo la consapevolezza di aver operato al meglio, dando ai bambini l’opportunità di vivere un’esperienza esaltante che, se non li condurrà a diventare campioni, potrà, e non è poco, far loro amare per sempre questo gioco.

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